Il sistema pensionistico è ricco di incertezze e punti interrogativi: quello più pesante è relativo a quanto percepiremo quando raggiungeremo l’età.
E’ facile cadere nella speranza di immaginare una lauta pensione quando, finalmente, dopo anni di sacrifici e lavoro si arriva all’età tanto agognata. Una tentazione che a volte però si rivela fallace in quanto, nonostante magari uno stipendio di circa 2000mila euro, si pensa che il lavoro sarà ricompensato bene almeno alla vecchiaia.
Un errore che però spesso si paga con il proprio portafoglio. Perché accade questo? Durante gli anni sono stati molteplici i cambiamenti della legislazione sul tema delle pensioni che hanno reso incerto il modo di capire il quantum della pensione. Tutto ovviamente a scapito dei contribuenti. A dare qualche spiegazione è l’Inps, che chiarisce come ci siano discrasie tra stipendio e pensione: è così che si spinge i lavoratori a cercare delle soluzioni di compensazione per l’età della pensione. Il motivo di tutto questo è dovuto al fatto del peso dei contributi versati. Ad incidere fortemente infatti non è lo stipendio ma gli anni di contributi versati. Inoltre, c’è da sapere che molte volte è difficile calcolarla in maniera anticipata in quanto pesa molto l’inflazione che, come sappiamo, cambia di anno in anno.
Pensione, cosa incide nel calcolo dell’assegno finale
E’ molto complesso prevedere il calcolo finale della pensione. Un po’ come accade per il Pil, e questo finisce nel calderone finale della valutazione e del peso della nostra pensione. Ad oggi infatti non è possibile calcolare a quanto ammonterà una pensione che inizierà a riscuotersi, ad esempio, fra 40 anni.
Giocando un po’ con la calcolatrice, si può capire che un dipendente che guadagna 2000mila euro al mese oggi potrebbe recepire una pensione compresa tra 1192 euro e 774 euro. A queste cifre bisogna aggiungere gli aumenti annuali del Pil e gli aumenti salariali.
Ovviamente, ci sono altri fattori che determinato la quantificazione. Un altro da tenere in considerazione è il sistema di contribuzione. Coloro che fanno parte del “contributivo” infatti hanno le peggiori perdite, mentre chi nel “misto” può registrare perdite dal 25 al 60 per cento a causa dei contributi versati. Certo, se ad oggi non è possibile avere un calcolo definitivo su quanto ammonterà la pensione, è possibile iniziare a decifrare le perdite ipotizzabili. Negli ultimi decenni, il cambio continuo dai regimi retributivi a quelli contributivi hanno reso più chiaro il tasso di cambio tra stipendio e pensione. In passato, con il regime retributivo, la differenza si fermava al 20%, e al massimo raggiungeva il 30% in caso di contributi insufficienti. Ora invece con l’attuale regime contributivo puro si può affermare che con 40 anni di contributi, si riceve il 60% dell’ultimo stipendio. Mentre con 30 anni di contributi, l’assegno sarà del 48% dello stipendio.