In Italia, dal 2015, esiste il nuovo regime forfetario, destinato agli operatori economici di ridotte dimensioni: tutto è cambiato, e non sempre in meglio.
Con il regime finora noto come forfettario, introdotto nel gennaio 2015 e modificato dalla Legge di stabilità nel 2016, sono previste semplificazioni ai fini IVA e ai fini contabili, con la determinazione forfetaria del reddito da assoggettare a un’unica imposta in sostituzione di quelle ordinarie. La soglia dei ricavi massimi è stata fino a pochi mesi fa di 65.000 euro.
Il Governo Meloni ha introdotto una nuova soglia, pari a 85.000 euro. Ciò significa che pur guadagnando 20.000 euro in più è possibile mantenere il regime forfetario. In tal senso e in considerazione della percentuale di costi forfetizzati e dei ridotti adempimenti, il nuovo regime potrebbe risultare più vantaggioso rispetto a quello di contabilità semplificata.
In generale, sembrano quasi sempre avvantaggiate le attività d’impresa o di lavoro autonomo, che vengono gestite con un ammontare di costi inferiore alla percentuale di redditività riconosciuta dalla norma. E infatti un numero crescente di contribuenti sta optando per il regime forfettario.
L’adesione al regime forfettario per i titolari di partita IVA già in attività avviene per facta concludentia, e ciò significa che non c’è bisogno di una comunicazione agli uffici dell’Amministrazione finanziaria. La fuoriuscita dal regime può avvenire volontariamente e tacitamente, anche nel caso in cui non venga superato il limite massimo di fatturato. Con il superamento, invece, l’uscita dal regime è forzata.
La legge di Bilancio 2023 ha introdotto un’ulteriore causa ostativa che prevede l’uscita immediata dal regime forfetario nel caso in cui i ricavi compensi percepiti siano superiori a 100.000 euro.
Tale situazione comporta infatti l’applicazione dell’IVA a partire dalle operazioni effettuate appena oltre il superamento del limite. Per i soggetti che supereranno la soglia di 85.000 euro ma non quella di 100.000 euro l’uscita dal regime avverrà a partire dall’anno successivo.
Questo è il rischio principale non considerato da molti contribuenti che scelgono il regime forfettario. Sgarrando si pagano sempre le conseguenze, e quindi diventa difficile poter gestire un aumento del volume degli affari o degli introiti.
Pur essendo cambiata la soglia, non sono stati invece modificati gli altri parametri. Quindi, tutti gli altri criteri stabiliti per legge per accedere al regime forfettario continuano a essere attivi. Il primo è di non aver sostenuto nell’anno precedente alla dichiarazione dei redditi spese complessive per lavoro dipendente, collaboratori o lavoro accessorio superiori a 20.000 euro lordi.
Il secondo è invece non aver percepito nell’anno precedente redditi da lavoro dipendente o pensione per importi superiori a 30.000 euro. Il terzo è un vincolo: i soggetti inquadrati nel regime forfettario non possono partecipare a società di persone o ad associazioni o detenere partecipazioni di controllo, diretto o indiretto, in società di capitali.
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