Più tardi si va in pensione e più alto sarà l’assegno. Vediamo insieme di quanto aumenta restando un anno in più al lavoro.
Molte persone che potrebbero accedere alla pensione con Quota 103 si chiedono quanto potrebbero avere in più sull’assegno previdenziale continuando a lavorare per un altro anno. In questo articolo vi spieghiamo come stanno le cose.
Tra le tante misure di pensione anticipata attualmente in vigore in Italia, una delle più importanti è certamente Quota 103. Questa forma di prepensionamento – che ha sostituito Quota 100, cancellata nel 2021- consente di andare in pensione a soli 62 anni con almeno 41 di contributi. Dunque permette di lasciare il lavoro con ben 5 anni di anticipo rispetto a quanto stabilito dalla legge Fornero.
È anche vero che si tratta di una misura di pensione anticipata che si rivolge unicamente ai lavoratori precoci. Infatti per aver maturato 41 anni di contributi a 62 anni è necessario aver iniziato a lavorare in modo regolare e continuativo a soli 21 anni. Situazioni un tempo frequenti ma oggi quasi impossibili. E chi ha i requisiti, comunque, ha dei dubbi in quanto lasciare il lavoro a 62 invece che a 67 potrebbe essere svantaggioso dal punto di vista economico.
Il mondo delle pensioni ha subito due grandi svolte: la riforma Dini nel 1995 e la riforma Fornero nel 2011. Sommate assieme creano un quadro piuttosto complesso e, per certi versi, penalizzante per i lavoratori.
La riforma Dini ha determinato il passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo. Quest’ultimo, ai fini del calcolo dell’importo della pensione, tiene conto unicamente dei contributi versati. Ogni lavoratore versa tutti i mesi il 33% dei contributi che gli serviranno per la pensione. Alla fine della carriera lavorativa, per calcolare l’importo dell’assegno previdenziale, bisogna moltiplicare il montante contributivo – cioè l’insieme dei contributi versati – e il coefficiente di trasformazione.
Quest’ultimo cambia a seconda dell’età in cui si lascia il lavoro ma segue il principio della progressione. Pertanto più tardi si va in pensione e più il coefficiente di trasformazione e alto e, di conseguenza, sarà più alto anche l’importo della pensione che si andrà a percepire. Per fare un esempio: se una persona accede alla pensione a 62 anni con Quota 103, il coefficiente di trasformazione sarà 4,88. Quindi il suo montante contributivo dovrà essere moltiplicato per 4,88.
Ma se il soggetto in questione dovesse decidere di restare ancora un anno a lavorare e di andare in pensione non a 62 ma a 63 anni, il coefficiente di trasformazione sarà di 5,03%. Va da sé che l’importo della sua pensione mensile ne trarrà un bel giovamento. Tuttavia Quota 103 è una misura ancora “in forse”: il Governo Meloni non ha ancora deciso se riconfermata per il 2024 oppure no. Dunque se una persona sceglie di continuare a lavorare ancora un anno ma Quota 103 viene abolita, a quel punto rischierà di dover continuare a lavorare fino a 67 anni.
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