I professionisti dipendenti godono di diritti a tutela delle proprie retribuzioni: ecco cosa fare se il datore di lavoro non versa gli stipendi.
Forse è capitato ad ognuno di noi, durante il corso della nostra vita lavorativa da dipendenti, di non ricevere puntualmente uno o più stipendi. E conosciamo bene la sensazione: è preoccupante, spiacevole, ci mette a disagio e rischia di incrinare il rapporto con il datore di lavoro. Al netto di tutte le motivazioni, anche più che comprensibili, che possono sussistere come causa di questi ritardi, è bene essere al corrente che la legge prevede forme di tutela per il recupero dei crediti di cui un lavoratore dipendente ha diritto.
Partiamo da un dato essenziale: il lavoratore che maturi nei confronti del proprio datore di lavoro un credito di tipo retributivo ha fino a cinque anni di tempo a partire dal termine della collaborazione professionale per vantare e riscuotere il dovuto. Dopo questo arco di tempo, il credito passa in prescrizione.
Ciò premesso, cosa dobbiamo fare se ci troviamo in condizioni simili? Qual è l’iter e quali sono le procedure da seguire per recuperare il nostro credito? Ebbene, i passaggi previsti dalla nostra Giurisprudenza sono in totale sei. Ma in molti casi è sufficiente effettuarne assai meno per giungere al risultato, spesso anche solo il primo. Dunque scopriamoli insieme.
Tutti passaggi per recuperare il credito dovuto dal datore di lavoro moroso
Il primo è la messa in mora. Questa operazione, come stabilito dall’articolo 1219 del Codice Civile, può essere svolta dal lavoratore dipendente in autonomia, presentando al proprio datore di lavoro la diffida anche senza il supporto di un avvocato. Ma attenzione: non vale nei casi di debito derivante da fatti illeciti (può apparire ovvio, ma è bene precisarlo), se il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler saldare il debito e se, ricadendo su eredi a seguito di decesso del datore di lavoro, l’intimazione non viene inviata per iscritto.
In molti casi questo primo provvedimento è sufficiente a sbloccare la situazione. Tuttavia, se ciò non avviene, è possibile procedere per conciliazione. La conciliazione può essere di due tipi: facoltativa – che comporta l’organizzazione di un’udienza presso la Commissione di Conciliazione, durante la quale le parti discuteranno di un accordo – oppure monocratica, con l’intervento degli Ispettori del Lavoro.
Gli altri passaggi sono il decreto ingiuntivo, la causa ordinaria, le dimissioni senza preavviso e l’esecuzione forzata o fallimento. Il decreto ingiuntivo è un ordine di pagamento richiesto dal tribunale al datore di lavoro, che avrà 40 giorni dalla notifica per decidere il da farsi. La causa ordinaria, invece, può essere avviata quando manchino certificazioni del credito, ad esempio quando il dipendente non dispone del contratto di lavoro o della lettera di assunzione.
Infine, tramite le dimissioni senza preavviso, che possono essere avanzate per giusta causa, l’ex dipendente potrà beneficiare del sussidio di disoccupazione NASpI. E da ultimo, in caso di mancato ottemperamento, il lavoratore dipendente potrà richiedere l’esecuzione forzata dei beni del datore di lavoro a risarcimento del credito o alla dichiarazione di fallimento che consentirà all’INPS di rimborsare almeno gli ultimi tre stipendi ed il TFR maturato.