Preoccupano le condizioni lavorative dei giovani italiani. Se non verranno adottate serie riforme, si rischiano terrificanti conseguenze.
La scorsa settimana, presso il Ministero del Lavoro, si è tenuto un vertice tra il Governo e le parti sociali per parlare di Riforma del sistema pensionistico.
Uno dei punti all’ordine del giorno è la questione riguardante le pensioni dei giovani.
Le previsioni sono davvero allarmanti, soprattutto se si pensa che nessuno dei numerosi Governi che si sono succeduti negli ultimi anni ha formulato idonee proposte.
Stesso discorso, purtroppo, anche per l’ultimo incontro, dopo il quale gli esponenti di UIL e CGIL hanno evidenziato come, in assenza di valide alternative all’attuale sistema previdenziale, i giovani rischiano di andare in pensione molto tardi e di ricevere un assegno misero, al limite della soglia di povertà.
Da cosa trae origine tale problematica e quali sono le possibili soluzioni?
La causa di tale situazione è, senza dubbio, rinvenibile nelle carriere professionali sempre più discontinue, che non consentono il raggiungimento di un idoneo montante contributivo. Questo elemento, nell’attuale meccanismo di calcolo delle pensioni, produce importi molto bassi.
Secondo un recente studio della Corte dei Conti condotto su un campione di 56 mila giovani lavoratori, il 28% guadagna uno stipendio lordo annuo minore di 20 mila euro e ben 6 persone su 10 non arrivano a 100 mila euro durante l’intera vita lavorativa.
Se non si penseranno a misure di sostegno e ad un metodo di determinazione degli assegni differente, la maggior parte dei giovani sarà destinata a pensioni di massimo 400- 500 euro.
Un altro elemento a sfavore dei giovani lavoratori è l’età pensionabile eccessivamente elevata. Molti, infatti, non potranno smettere di lavorare prima dei 70 anni.
Attualmente, il nostro sistema previdenziale contempla l’adeguamento dell’età pensionabile alle speranze di vita rivelate dall’Istat, che crescono di anno in anno.
Ma influiscono anche due aspetti del sistema contributivo di calcolo degli assegni. Il primo è che l’ammontare minimo delle pensioni deve essere di 2,8 volte il trattamento minimo; il secondo è la necessità che, per l’accesso alla pensione, l’assegno sia pari almeno a 1,5 volte la pensione minima.
Si tratta di una situazione che è diventata insostenibile e che genera frustrazione e rabbia.
Sono anni che si parla di un’efficace Riforma delle pensioni ma, al momento, nulla di concreto è stato fatto. Rimandare, però, non è più possibile.
Per arginare gli effetti disastrosi sugli assegni dei più giovani, i sindacati stanno premendo per l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia, non legata necessariamente agli anni di lavoro e ai contributi accreditati.
L’auspicio è che si trovino soluzioni che tengano conto del fatto che ormai il lavoro è sempre meno stabile e discontinuo.
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