Per alcune pensioni, è previsto che una quota della cifra complessiva, alla morte del titolare, spetti al coniuge che gli sopravvive. Non sempre però l’assegno finisce a vedove ed eredi.
Il meccanismo appena indicato si chiama reversibilità. Ma ci sono casi in cui la cifra spettante al lavoratore in pensione non va a vedove ed eredi. Nella fattispecie, parliamo di un’indennità che spetta ai lavoratori iscritti all’AGO dei lavoratori dipendenti, alle forme sostitutive e esclusive della stessa, alle gestioni speciali degli autonomi e alla gestione separata, che abbiano però compiuto sessantatré anni d’età.
Si tratta della cosiddetta Ape Sociale. La parola Ape, ovviamente, non ha nulla a che fare con l’insetto: è una sigla che sta per anticipo pensionistico. E di fatti opera da prestazione ponte, a seconda dei casi, tra la maturazione dei requisiti per il suo riconoscimento e la maturazione per la pensione di vecchiaia o anticipata, a seconda dei casi.
Questa indennità erogata dall’INPS a carico dello Stato è indirizzata dunque ai lavoratori che abbiano, come spiegato, almeno sessantatré anni d’età e che rispettino determinate condizioni.
Per le leggi attuali possono richiedere l’Ape coloro che si trovano in stato di disoccupazione e abbiano esaurito il trattamento di NASPI o equivalenti con almeno trent’anni di contribuiti. Oppure i caregivers che assistono da almeno sei mesi (sempre con almeno trent’anni di contributi), gli invalidi al 74% e i lavoratori dipendenti che svolgono mansioni gravose, in possesso di almeno trentasei anni contributivi.
Reversibilità dell’Ape sociale: perché vedove ed eredi non prendono l’assegno
L’indennità è pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione, se inferiore a euro 1.500. E poi può essere pari a 1.500 euro se la pensione raggiunge o supera questo importo. L’Ape Sociale non è reversibile. Ciò significa che vedove ed eredi non possono prendere questo assegno dall’INPS.
L’Ape sociale, pur favorendo alcune categorie che hanno voglia di lasciare prima il lavoro, non è un trattamento paragonabile alla pensione. Per esempio non dà diritto ad alcuna tredicesima o quattordicesima.
Inoltre non prevede alcuna perequazione automatica. In più, il suo percettore non potrà svolgere alcuna attività lavorativa durante il periodo in cui incassa l’assegno. Va anche detto che durante il godimento del trattamento non spetta alcuna contribuzione figurativa.
La legge dice che se il suo titolare muore, il trattamento cessa immediatamente di essere erogato. Vedove ed eredi, quindi, non prenderanno questo assegno di 1.500 euro. E questo perché il trattamento non è reversibile. Nemmeno un euro dunque alla vedova o agli eredi superstiti.
Quindi, l’Ape, nonostante sia un’indinnità calcolata sulla base dei contributi versati, non può essere considerata come un trattamento pensionistico. E, va da sé, in caso di morte del beneficiario, perde ogni suo valore giuridico: lo Stato non erogherà più nemmeno un centesimo.