È arrivata la sentenza ufficialmente: il Trattamento di Fine servizio pagato in ritardo diventa illegittimo, per la gioia dei lavoratori.
La sentenza arriva direttamente dalla Corte Costituzionale: non sarà più possibile pagare il TFS, ovvero il Trattamento di Fine Servizio, in ritardo. La liquidazione ritardata è stata dichiarata in contrasto con il principio di giusta retribuzione, che non riguarda solo pagare l’ammontare corrisposto corretto ma anche farlo in tempi rapidi. La sentenza 130/2023 parla chiaro, e la notizia farà felici tutti i lavoratori.
Al momento, basato su una legge del 1997, il TFS nel pubblico impiego viene versato a distanza di almeno un anno dal termine del lavoro, pagato in numerose rate se l’importo è superiore ai 50000 euro.
Questa legge è attiva tutt’oggi, richiedendo 12 mesi di attesa o addirittura 24 in caso di licenziamento o dimissioni. Varie normative hanno poi ulteriormente dilazionato i tempi, fino a tre rate annuali. Questa misura era motivata da esigenze di finanza pubblica del tempo.
TFS differito: tutti i cambiamenti
La Consulta aveva già inviato un monito sulla questione nel 2019. Con la gradualità necessaria per contrastare l’impatto sui conti INPS il vulnus va risolto. La nuova sentenza conferma che la liquidazione ritardata dei dipendenti pubblici è in contrasto con i diritti costituzionali.
L’attuale quadro normativa viola l’articolo 36 della Costituzione, che vuole il diritto a una retribuzione proporzionale e dignitosa, e la liquidazione fa parte della retribuzione. La Corte stessa sottolinea che la liquidazione è volta a “sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione dell’esistenza umana”.
Da questa prospettiva, il pagamento ritardato del TFS “contrasta con l’esigenza di tutela del dipendente al termine dell’attività lavorativa”, affermando anche che “La dilazione non è controbilanciata dal riconoscimento della rivalutazione monetaria”.
Le questioni di legittimità costituzionale sono state giudicate inammissibili dalla Consulta, che ritiene spetti al legislatore superare questo noto che vale 15 miliardi. Nel 2019 la Corte aveva già segnalato in merito al TFS (anche se parlando di un altro aspetto) “l’urgenza di ridefinire una disciplina piena di aspetti problematici, nell’ambito di una organica revisione dell’intera materia”. Ora si sta focalizzando sul vulnus legato alla tempistica e chiede al legislatore un intervento, riconoscendo comunque l’eventuale gradualità necessaria.
Per capirci, non stiamo parlando di un effetto automatico di decadimento della disposizione censurata, ma la Consulta invita il legislatore a sanare il vulnus rilevato il prima possibile.