Le pensioni tornano a essere oggetto di dibattito tra Governo e sindacati. A rischio diverse misure di prepensionamento. Vediamo i dettagli.
Aspettativa di vita sempre più lunga ma sempre meno nascite. Il problema è economico più ancora che sociologico. E questo rischia di mandare in tilt tutto il sistema previdenziale. Governo e sindacati si stanno nuovamente confrontando sul tema delle pensioni. Analizziamo insieme la situazione.
Dopo mesi Governo e sindacati sono tornati a parlare di uno dei temi più sentiti in Italia: le pensioni. La riforma è cosa da rimandarsi, questo ormai è chiaro a tutti: le casse dello Stato piangono, prosciugate da rifinanziamento di tutti i bonus – o quasi – del precedente Esecutivo, nuovi sussidi che sostituiranno a breve il Reddito di cittadinanza e rivalutazione delle pensioni minime. Del resto la lotta alla povertà è un dovere ma la coperta è corta e, dunque, a rimetterci, per il momento, sono le pensioni. O meglio: le pensioni anticipate.
Quota 41 – uno dei cavalli di battaglia di Giorgia Meloni e della sua squadra- sicuramente non vedrà la luce nemmeno nel 2024. La misura di prepensionamento che consentirebbe di lasciare il lavoro a 62 anni con 41 di contributi, con ogni probabilità potrà essere attuata non prima del 2026. È stato stimato che solo nel primo anno Quota 41 costerebbe allo Stato circa 3- 4 miliardi. Nel frattempo, a fine 2023, scadono Quota 103, Opzione donna e Ape sociale. Cosa accadrà a quel punto? Verranno prorogati o abbandonati in nome della legge Fornero per tutti?
Riforma delle pensioni: ecco cosa succederà
I sindacati spingono per forme di uscita anticipata dal lavoro a 62-63 anni almeno per alcune categorie. Il Governo continua a ribadire l’intenzione di superare la legge Fornero che, però, secondo l’Europa è l’unica in grado di garantire la stabilità economica dell’Italia. In mezzo milioni di contribuenti e, soprattutto, milioni di giovani con carriere discontinue su cui pendono tanti – troppi- punti interrogativi.
Al centro dell’incontro tra il ministero del Lavoro e i sindacati non solo le forme di prepensionamento ma anche il futuro dei giovani. Si stanno valutando incentivi per favorire forme di pensione integrative e per rendere più facile il riscatto degli anni universitari. Per chi desidera ritirarsi prima dal lavoro l’idea è quella di attuare misure “ponte” a partire dai 62 anni di età tenendo però fermo il requisito dei 41 anni di contributi.
Il punto sarà capire, però, quanto converrà ai lavoratori ritirarsi a soli 62 anni e quale potrebbe essere l’ipotetico importo di questo assegno ponte, se sarà soggetto a rivalutazione e comprenderà tredicesima e quattordicesima oppure no. Per il momento la soluzione più probabile sembra un ulteriore prolungamento di Quota 103 per tutto il 2024. Poi, in base ai dati forniti dall’Osservatorio sulla spesa previdenziale- fortemente voluto dal ministero del Lavoro- il Governo deciderà come muoversi in merito a Opzione donna e Ape sociale.