Una sentenza shock della Corte Costituzionale potrebbe sconvolgere la rivalutazione delle pensioni. Gli importi aumenteranno?
Il sistema di rivalutazioni delle pensioni stabilito dal Governo Meloni ha, da sempre, suscitato numerose perplessità, anche tra gli stessi pensionati. In base a tale meccanismo, le prestazioni previdenziali e assistenziali vengono adeguate ogni anno sulla base dell’andamento dell’inflazione. In particolare, spetta la rivalutazione al 100% per le pensioni che ammontano fino a 4 volte il trattamento minimo. La rivalutazione è, invece, del 90% per le pensioni tra le 4 e le 5 volte il minimo e, infine, del 75% per quelle di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo.
Per quest’anno, tuttavia, al fine di risparmiare risorse economiche, l’Esecutivo ha stabilito che, per gli assegni superiori alle 4 volte il minimo, vi sarà il taglio della rivalutazione. Per i pensionati e i sindacati, tale decisione sarebbe una vera e propria ingiustizia e, per questo motivo, ritengono che il meccanismo di rivalutazione possa essere considerato incostituzionale dalla Consulta.
Rivalutazione pensioni: la posizione della Corte Costituzionale negli anni
Già in passato la Corte Costituzionale si è opposta al meccanismo di adeguamento degli assegni previdenziali e assistenziali. Ad esempio, nel 1998, quando fu abolita per un anno la rivalutazione per le pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo. Nel 2012, invece, la Consulta ha ritenuto illegittima la mancata rivalutazione, per 2 anni, degli assegni superiori a 3 volte il minimo.
La Legge di Bilancio 2019, invece, aveva stabilito il blocco dell’adeguamento per 3 anni per le pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo e, per ulteriori 5 anni, per quelle superiori a 100 mila euro lordi annui. In tale occasione, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni relative alle prestazioni fino a 9 volte la pensione minima, ma ha sancito l’incostituzionalità delle norme relative agli assegni superiori a 100 mila euro.
La rivalutazione, dunque, è ritornata al 100% nel 2022, ma fino alla decisione dell’attuale Governo. La Legge di Bilancio 2023 ha, infatti, previsto che, per l’anno in corso e per il 2024, l’adeguamento seguirà le seguenti regole e sarà:
- del 100%, per le pensioni inferiori a 4 volte il trattamento minimo;
- dell’85%, per le prestazioni di importo compreso tra le 4 e le 5 volte il trattamento minino;
- del 53%, per le pensioni tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
- del 47%, per gli assegni tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
- del 37% per le prestazioni tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
- del 32% per le pensioni superiori di 10 volte il trattamento minimo.
Si tratta di un sistema che fa molto discutere, perché prevede una penalizzazione non solo sulle pensioni di importo più elevato (cioè maggiore di 5.253,80 euro), ma anche per quelle di importo medio. Ad esempio, una pensione che va dai 2.626,90 ai 3.152,28 euro, la rivalutazione sarà del 53%.
Quali sono i possibili scenari sull’adeguamento degli assegni pensionistici?
Il motivo per il quale la rivalutazione piena per tutte le pensioni è stata abolita risiede nella necessità di risparmiare e di conservare i fondi statali per aumentare i trattamenti minimi e per riconfermare Quota 103.
Cosa si prospetta per il futuro? Non è possibile, al momento, fare previsioni adeguate sulla possibilità che la Corte Costituzionale dichiari illegittimo l’attuale metodo di rivalutazione degli assegni pensionistici. Senza, dubbio, l’intenzione dei sindacati è di sottoporre la questione alla Consulta e di ottenere una pronuncia favorevole, perché il sistema ideato dal Governo si sostanzierebbe in una vera e propria ingiustizia.
La speranze che le istanze vengano accolte sono legate alla motivazione in base alla quale, nel 2019, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale la manovra di adeguamento. In quell’occasione la Corte aveva contestato il periodo di vigenza della rivalutazione, cioè 8 anni e la “frequente reiterazione di misure intese a paralizzare il meccanismo di adeguamento“. Non resta, dunque, che attendere che la Corte si pronunci e capire, eventualmente, quali soluzioni adotterà il Governo.