Bollette arretrate? Buone notizie, potresti non doverle pagare più se rientrano in queste leggi di prescrizione.
Normalmente, secondo le regole del codice civile, i crediti vanno in prescrizione dopo 10 anni. Esistono, tuttavia, diverse eccezioni che rientrano nella cosiddetta “prescrizione breve”, una prescrizione che accade dopo 5 anni invece di 10. Ci sono diversi casi che ricadono in questa categoria, incluse cose di tutti i giorni, dalla bolletta del telefono alle tasse da pagare al Comune.
Normalmente le prescrizioni di 10 anni vengono applicate principalmente a debiti derivanti da generalità dei contratti, come l’acquisto di un oggetto (salvo casi eccezionali come i crediti dei professionisti). Cosa va in prescrizione dopo 5 anni è deciso dall’articolo 2948 del codice civile. Ecco diversi casi di prescrizioni da 5 anni e come farla valere per annullare il debito.
Prescrizione dopo cinque anni: gli esempi
Partiamo con qualcosa di comune: i contratti a rinnovo periodico. Stiamo parlando di tutti i contratti simili, dalla pay-tv all’affitto. L’articolo 2948 cod. civile al numero 4 copre tutta quest’area legale dicendo che tutti i pagamenti che devono essere fatti periodicamente ad anno o termini più brevi sono soggetti alla prescrizione in 5 anni. Questo si applica anche agli interessi e ai pagamenti degli utili.
Altro esempio? La bolletta del telefono. Dopo cinque anni non possono più essere chiesti arretrati. Diverse le altre utenze domestiche, che si prescrivono in solo 2 anni.
Anche i debiti col condominio si prescrivono in 5 anni, sia per i proprietari sia per i locali a uso commerciale. Nel caso di spese condominiali si parla, di nuovo, di 2 anni, mentre tutte le altre somme dovute dal conduttore al locatore si prescrivono in dieci anni.
Altri esempi? Il canone di affitto (abitativo e non), i titoli di Stato, gli abbonamenti ai servizi di streaming, le annualità delle rendite perpetue o vitalizie. Insomma, moltissimi casi.
Ma attenzione, perché la cosa non ha sempre risvolti positivi. Per esempio un dipendente che non è stato pagato dal suo datore di lavoro ha solo 5 anni per agire. Questo coinvolge stipendi, differenze retributive (come gli straordinari non pagati), tredicesima e quattordicesima, indennità sostitutiva, premi di produzione e, ultimo ma non per importanza, il TFR (trattamento di fine rapporto del lavoro).
Questa prescrizione, però, inizia a decorrere solo dal momento di cessazione del rapporto di lavoro, per evitare che il dipendente non eserciti i suoi diritti per timore di ritorsione. Premi di fedeltà, diritti al passaggio di qualifica, erogazioni una tantum e tutti gli altri tipi di pagamenti relativi al lavoro si prescrivono invece in 10 anni.
Anche l’assegno di mantenimento ha una prescrizione di 5 anni in quanto pagamento periodico. Il diritto in sé, tuttavia, non cade mai in prescrizione anche se non esercitato.
Le tasse e imposte in prescrizione di 5 anni solo quelle dovute agli enti locali, mentre quelle allo Stato si prescrivono in 10. Quindi cascano nella prescrizione di 5 anni l’IMU, la Tari, l’ICP, la Tosap, i DPA, la tassa di soggiorno e la IPT. Idem i contributi dovuti all’INPS e all’Inail e le cartelle esattoriali, così come gli interessi sulle imposte e le sanzioni (come le multe stradali).
Prescrizione dopo cinque anni: come farla valere?
La prescrizione scatta in automatico essendo un termine previsto dalla legge, senza bisogno di istanza o processo. In caso in cui il creditore si presenti chiedendo un pagamento prescritto il debitore dovrà semplicemente sollevare la contestazione di prescrizione e risulterà esente da obblighi.
Il creditore dovrà dimostrare di avere un atto interruttivo della prescrizione (un sollecito, una diffida, una lettera di messa in mora, insomma, una richiesta di pagamento). Anche avviare un’azione giudiziale interrompe la prescrizione per la durata del processo.
In caso di imposte, multe o sanzioni il debitore dovrà, invece, presentare ricorso contro l’atto per farlo annullare dal giudice.