Come cambia l’onere probatorio dal punto di vista fiscale. Con la riforma dell’art. 7 comma 5-bis del D. Lgs. 546/92 è arrivata una svolta nei rapporti fra fisco e contribuente.
In ogni controversia legale, anche di natura fiscale, c’è una parte che ha l’onere della prova (l’onere probatorio), per dimostrare che ha ragione, con l’altra parte, che si presume non in torto, esonerata dal portare alcuna prova. Con la riforma citata cambiano però le fattispecie in cui il contribuente deve assumersi l’onere probatorio.
Il nuovo principio espresso dalla riforma sembra contraddire moltissime elaborazioni giurisprudenziali. Sostanzialmente qualifica la prova demandata all’Ufficio in modo particolare. Come? Rendendo di fatto necessario che la prova descriva un’interpretazione dei fatti economici oggetto di imposizione fiscale non solo come possibilità ma come la probabilità “più ragionevole” fra tutte quelle possibili.
Nel recente passato la giurisprudenza aveva in pratica definito un criterio tripartito in tema di onere probatorio. Infatti, si dava per assodato che la prova dei maggiori ricavi fosse sempre a carico dell’Ufficio. Poi che la prova della esistenza o dell’inerenza dei costi o della spettanza di detrazioni fosse a carico del contribuente (anche se a fronte del cosiddetto onere di contestazione argomentata).
E infine che la prova dei regimi di favore e dei rimborsi fosse sempre a carico del contribuente. Come la seconda, in pratica. Ma tutto cambia, o quasi, con la riforma dell’art. 7 comma 5-bis del D. Lgs. 546/92.
Onere probatorio: cosa cambia per il contribuente con la riforma dell’art. 7
La nuova disposizione fa incombere sul contribuente ex lege l’onere di provare la spettanza dei rimborsi, solo questo. E da ciò si può dedurre che sull’Ufficio dovrebbe gravare la prova per tutte le altre contestazioni. Quindi anche la non spettanza, inesistenza o non inerenza di deduzioni e costi e la non applicabilità di regimi agevolati.
Cosa cambia dunque rispetto al passato? Secondo alcuni interpreti, fra i giuristi più autorevoli, in sostanza, non cambia niente, come ritiene anche la Cassazione. Per altri, più critici, invece, muta tutto ciò che ha a che fare con la “qualità” della prova.
D’ora in poi la prova richiesta all’Ufficio non è una prova “comune”, ma ha una qualificazione del tutto peculiare e rafforzata. Deve essere, insomma, una prova di alta qualità.
La tesi dell’Ufficio, per essere fondata e accolta, non deve meramente essere “possibile” alla luce degli elementi acquisiti e delle presunzioni concesse dall’ordinamento, ma deve essere anche quella ragionevolmente più probabile in assoluto.