Si può smettere di lavorare prima del tempo, ma non tutti conoscono le conseguenze di questa scelta comunque irrevocabile
Il pensionamento può apparire come una liberazione, per il peso dell’età e le incombenze familiari o i cambiamenti che trasformano il mondo del lavoro, causando a volte disagio. Ci sono dipendenti precari che vedono la loro ditta chiudere pochi anni prima di giungere all’età pensionabile, quando non trovano un altro datore. Il vitalizio anticipato suona quindi come una soluzione, purché ci si renda conto degli inconvenienti, in particolare il taglio che il loro assegno dovrà subire.
Dopo molte riforme, le possibilità sono numerose, tra opzione donna, quota 103 e Ape sociale. Sicuramente chi smette di versare contributi prima del previsto viene penalizzato, in alcuni casi fino al raggiungimento dell’anzianità in altri casi per sempre, senza alcuna possibilità di tornare indietro. Vige appunto una norma che non conosce eccezioni: chi lavora per un maggior numero di anni riceve un assegno più alto, e tra due lavoratori che versano uguali contributi, percepisce di più chi va in pensione più tardi. Il montante contributivo cresce soltanto per chi continua a lavorare.
Le dipendenti e le autonome che entro la fine del 2021 avevano versato 35 anni di contributi completi sono potute uscire per dedicarsi a tutt’altro, pur avendo solo 58 o 59 anni. L’effetto della loro scelta è stato però un forte ridimensionamento dell’assegno, che vuol dire percepire un terzo in meno. È un risultato che non si può più cambiare. Chi lo accetta dovrà sopportarlo vita natural durante. E il motivo è che per tutte quante è previsto il regime contributivo, comprese coloro che rientrano nel misto. Lo stesso sistema vale per coloro le quali prima del ’96 avevano già carriere di più di 18 anni e potevano ottenere il retributivo fino al termine del 2011.
Lo stesso meccanismo di calcolo vale per Opzione donna di oggi, con l’età portata a 60 anni, e sempre con 35 anni di contributi ma a platea ridotta (caregiver, invalide, licenziate o in aziende con tavoli di crisi avviati). Il taglio dell’assegno per chi sceglie Opzione donna non cessa mai. Infatti chi esce con opzione donna resta in opzione donna a vita e prenderà sempre la stessa pensione, tagliata come i tecnici sottolineano spesso, anche oltre il 30%. I sacrifici economici colpiscono d’altra parte anche coloro che scelgono l’Ape sociale.
L’Ape sociale consente l’uscita anticipata a chi ha versato contributi solamente fra i 30 e i 36 anni, e quindi può interessare soprattutto coloro che per vari motivi hanno iniziato tardi la loro carriera e hanno bisogno di concluderla prima dell’età prevista. Già a 63 anni infatti possono percepire l’assegno, purché appartengano ad alcune categorie: invalidi, caregiver, disoccupati o chi svolge mansioni usuranti. L’importo del vitalizio dipende dal regime misto, ma deve ugualmente accettare tagli pesanti.
Bisogna infatti rinunciare alla tredicesima, alla reversibilità in caso di decesso, non vengono date le maggiorazioni sociali, non si possono aggiungere assegni familiari, non si beneficia dell’indicizzazione al tasso d’inflazione e nemmeno può superare i 1.300 euro al mese. Una lunga serie di penalità che quindi colpisce chi esce prima. Mentre Opzione donna impone un regime che dura per tutta la vita, l’Ape sociale con tutti i suoi tagli ha un limite. A 67 anni il pensionato può chiedere il ricalcolo e ottenere così l’ordinario vitalizio per vecchiaia.
Chi vuole inserirsi in Quota 103 ha un percorso obbligato, che gli vieta di cumulare redditi da lavoro con il vitalizio. L’unica attività ammessa è quella occasionale, a patto di non oltrepassare la soglia di 5mila euro annui di reddito extra. Se si vuole tornare attivi, occorre avere pazienza. A 62 anni di età con almeno 41 di contributi versati scatta una pausa di cinque anni. Soltanto a 67 compiuti, quando cioè si entra nel regime del vitalizio per vecchiaia, si può uscire da quota 103 per ricominciare a lavorare. Bisogna fare i conti, inoltre, con un’altra limitazione. L’assegno che spetta ai titolari di Quota 103 ha un tetto insuperabile, ovvero cinque volte il trattamento minimo, che per il 2023 è 567,94. Per quest’anno di conseguenza questi pensionati non prenderanno più di 2839,70 euro.
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