Google ha finalmente eliminato dal Play Store un’applicazione che nelle scorse settimane ha sollevato un vespaio di polemiche.
Più volte dalla diffusione planetaria dei videogame siamo andati incontro a scontri generazionali e sociali riguardo i contenuti di queste forme d’intrattenimento casalingo. Nei ’90 ad esempio Carmageddon – gioco in cui lo scopo era investire pedoni – ha sollevato un vespaio, aprendo il dibattito sulla violenza e su come il videogame potesse essere un esempio negativo per i giovani in formazione.
Quel caso è stato unico ma non un unicum nella storia del videogame. Spesso Rockstar, software house che ha sviluppato il brand GTA, è stata al centro delle polemiche perché nei suoi giochi è possibile uccidere chiunque in un contesto urbano e molto simile a quello in cui viviamo. Una violenza che non è giustificata dalla trama o dal contesto, ma che non è nemmeno suggerita dagli sviluppatori. In GTA puoi fare quello che vuoi, dunque è l’utente che decide di avere un comportamento violento, ma può anche decidere di rispettare tutte le regole.
Se nel caso di Caramageddon, dunque, le polemiche potevano avere un senso, in questo come nel caso di Call of Duty (videogame di guerra) sono assolutamente strumentali, tanto che l’ex presidente degli USA Donald Trump ha utilizzato i videogiochi come oggetto di distrazione di massa per giustificare le stragi nei licei. D’altronde per uno che ha reso nuovamente più facile l’accesso alle armi e che ha legami stretti con l’industria che le produce, ammettere che le sue politiche erano state la causa sarebbe stato controproducente.
Google accoglie le richieste e cancella l’app dal Play Store: polemiche lecite o strumentali?
Nelle scorse settimane la questione è stata riaperta per via della presenza di un applicazione presente sul Play Store di Google.
Si tratta di un videogame gestionale, nel quale di fatto si possono acquistare e vendere schiavi di colore. Ma non solo, poiché il giocatore ha anche la possibilità di torturare e frustare gli schiavi per costringerli a lavorare più intensamente. Tra i commenti dei giocatori, c’è anche chi con discreto sadismo ha fatto notare che i metodi di tortura non sarebbero sufficienti per garantire varietà.
Il gioco, il cui nome è Simulador de Escravidão (Simulazione di schiavitù) è stato sviluppato da Magnus Games ed ha generato un vespaio di polemiche, specialmente in Brasile, Paese in cui la schiavitù è una parte oscura della storia. Ben presto sono sorte polemiche contro Google per aver permesso la presenza di un contenuto così inadatto, con il quale è possibile diffondere l’odio, razzismo e violenza tra le nuove generazioni.
In seguito alle polemiche Google ha finalmente rimosso l’app dal Play Store, ma dovrà rendere conto al governo brasiliano per aver permesso la presenza del gioco sulla propria piattaforma. Magnus Games verrà invece ritenuta responsabile per la produzione e la diffusione del videogioco. A loro discolpa, gli sviluppatori hanno sostenuto che nella loro produzione non c’era alcuna incitazione alla violenza, all’odio razziale e alla discriminazione, e che l’unico scopo dell’app era intrattenere. Inoltre hanno pubblicamente condannato la schiavitù.