Tutte le categorie di lavoratori subiranno la revoca della possibilità di lavorare da casa. In alcuni casi, c’è ancora qualche speranza.
Negli ultimi anni, lo smart-working ha rivoluzionato il mondo del lavoro, consentendo a molti dipendenti di svolgere le proprie mansioni da casa o da luoghi diversi dall’ufficio tradizionale. Tuttavia, sembra che questa tendenza stia vivendo un momento di cambiamento significativo, con sempre più aziende che decidono di abbandonare o ridurre drasticamente il ricorso allo smart-working, e optare per il ritorno al lavoro in presenza.
Ci sono diverse ragioni dietro questa inversione di rotta. In primo luogo, molti datori di lavoro hanno constatato che, nonostante i vantaggi dello smart-working in termini di flessibilità e conciliazione vita-lavoro, si sono verificate alcune criticità. La mancanza di interazioni faccia a faccia ha limitato la collaborazione e la comunicazione tra i membri del team, rallentando i processi decisionali e riducendo l’efficienza complessiva.
In Italia, la possibilità di lavorare da casa è stata revocata per quasi tutte le categorie professionali da qualche mese e, finora, era rimasta in vigore solo per i lavoratori considerati “fragili” (sia nel settore pubblico che in quello privato) e i genitori con figli di età inferiore ai 14 anni (solo nel settore privato). Entro il prossimo 30 giugno, però, il periodo di proroga per queste categorie scadrà. Di conseguenza, a meno di una nuova proroga, tutti i dipendenti dovranno ritornare a lavorare in sede.
Al momento attuale, a meno che il ministro del Lavoro Calderone non emetta un nuovo provvedimento governativo, tutti i lavoratori, inclusi quelli “fragili” e i genitori di figli al di sotto dei 14 anni, dovranno ritornare a lavorare in sede a partire dal 1° luglio.
Tuttavia, la legge offre comunque la possibilità alle singole aziende di concordare nuove proroghe privatamente con i propri dipendenti, e anche in questo caso i lavoratori appartenenti alle due categorie sono favoriti.
Infatti, grazie alla “protezione” garantita dalla legge 81 del 2017 e dal decreto legislativo 105 del 2022, “i datori di lavoro pubblici e privati stipulano accordi per svolgere l’attività lavorativa in modalità flessibile”, ma devono dare “priorità” alle richieste dei lavoratori con figli fino a dodici anni di età, o senza limiti di età nel caso di figli con disabilità (come stabilito dall’articolo 3, comma 3 della legge 104 del 1992), o alle richieste dei lavoratori con disabilità gravi (come stabilito dall’articolo 4, comma 1 della legge 104 del 1992) o che siano caregivers.
Inoltre, nel momento in cui i lavoratori di queste categorie chiedono di beneficiare del lavoro flessibile, “non possono essere soggetti a sanzioni, declassamenti, licenziamenti, trasferimenti o ad altre misure organizzative che possano influire negativamente sulle loro condizioni lavorative”. Utilizzando il termine “priorità”, si intende indicare che se più lavoratori richiedono tale agevolazione e bisogna fare una selezione, le richieste dei dipendenti appartenenti alle categorie “protette” saranno considerate prioritarie.
In sintesi, lo smart-working ha rappresentato una rivoluzione nella vita dei lavoratori. Sebbene in questo momento ci sia un’inversione di tendenza, è chiaro che da adesso in poi le aziende saranno ben consapevoli delle potenzialità del lavoro da remoto per il benessere dei loro dipendenti.
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