Aumentano esponenzialmente i licenziamenti del 2023. Quest’anno il 41% dei lavoratori in più ha perso il lavoro e il trend non vuole scendere.
Il clima lavorativo del 2023 si è aperto malissimo per molti lavoratori dipendenti. Boom di licenziamenti nel primo trimestre dell’anno, con un aumento del 41% delle persone che hanno lasciato il lavoro. Si tratta di un fenomeno iniziato con la fine della pandemia e che non vuole saperne di fermarsi.
Il fenomeno delle dimissioni di massa in Italia è scoppiato dopo la fine del periodo pandemico, a inizio 2021 e non si è mai arrestato. L’osservatorio INPS, che sta monitorando il problema, ha misurato un aumento del 9,74% delle dimissioni nel 2022 rispetto che al 2021, che si aggiungono a tutte le altre dimissioni avvenute fin dall’anno prima della pandemia, per un aumento complessivo del 24% rispetto al 2019. 1.012.637 dimissioni dallo scoppio della pandemia. All’aumento delle dimissione volontarie si somma un altro aumento, ancora più preoccupante, dei licenziamenti per motivi economici, molto spesso legati alla riorganizzazione aziendale.
Questo secondo fenomeno, sempre secondo i dati dell’osservatorio INPS, è visto in aumento del 40,89% rispetto al 2021, con un totale di 377.423 licenziamenti. Il dato è relativo se paragonato a quello del 2019, anno in cui si sono registrati 504.264 licenziamenti. Tra il 2020 e il 2021, infatti, era in vigore la legge sul blocco dei licenziamenti, per questo motivo i dati in percentuale del 2022 appaiono così alti. Un fattore, invece, preoccupa rispetto al 2019 ed è quello dei licenziamenti disciplinari, che risultano in crescita. Nello specifico, nel 2022 si sono registrati circa 36.000 licenziamenti per ragioni disciplinari in più rispetto all’anno pre pandemia.
In totale le interruzioni di rapporto di lavoro di qualsiasi tipo nel 2022 sono state 7.617.000, in aumento del 16% rispetto al 2021. L’aumento riguarda tutte le tipologie contrattuali, dai rapporti a tempo indeterminato a quelli a tempo determinato, contratti intermittenti, di apprendistato e contratti di somministrazione. Su questi aumenti rispetto all’anno prevedente influisce sicuramente il blocco dei licenziamenti del 2020/2021, ma anche la necessaria riorganizzazione di molte aziende in seguito alla batosta presa della pandemia e dalla perdita di produttività.
Dall’altra parte, però, ci sono stati gli interventi dello Stato per aumentare il fermento nel mercato del lavoro italiano. Questi hanno portato a un aumento dei contratti di lavoro firmati nel 2022 dell’11% rispetto all’anno precedente, per un totale di oltre 8 milioni di contratti firmati.
Dati, quindi, che restituiscono un quadro positivo del mercato del lavoro in Italia, visto che gli neo assunti sono stati più dei licenziati sul territorio nazionale.
Negli 8 milioni di assunti segnalati dall’INPS sono comprese tutte le categorie di contratto. Andando più nel dettaglio possiamo vedere come il rapporto tra licenziamenti e assunzioni siano a favore di queste ultime in tutte le tipologie contrattuali. Per quanto riguarda i contratti a tempo indeterminato c’è stata una crescita dei contratti del 18%, mentre per i contratti a termine troviamo:
Nel 2022 si registra un particolare aumento dei contratti stabili. Per la precisione 336.455 nuovi contratti stabili firmati rispetto al 2021.
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