E’ arrivata la stangata sui forfettari e tanti chiudono perchè non conviene. Vediamo le cifre vere e cosa cambia.
La Partita IVA forfettaria non è niente altro che un grande costo per avere introiti piuttosto bassi. Infatti all’atto pratico chi ha la partita IVA forfettaria ha un trattamento di favore dal governo ma nella sua situazione specifica non è altro che un lavoratore che deve sostenere tanti costi e tanta burocrazia a fronte di entrate di solito piuttosto modeste.
Nel 2023 per la partita IVA forfettaria non ci sono spese di apertura e chiusura ma ci sono le tasse, i contributi previdenziali e i costi del commercialista. La partita IVA con il regime forfettario anche nel 2023 è una delle possibilità più interessanti dal punto di vista fiscale ma i limiti non mancano. Per aderire al regime forfettario quest’anno le persone fisiche che esercitano un’attività d’impresa o un lavoro autonomo devono aver conseguito compensi o ricavi entro i 65.000 euro.
Cosa c’è da sapere e cosa cambia
Attenzione però, perché la verifica del fatturato viene effettuata tenendo presente l’anno precedente a quello di riferimento. Quindi anno per anno bisogna andare a verificare che si sia rimasti sempre all’interno di questi 65 mila euro. Ma se i requisiti di accesso fanno riferimento all’anno precedente, i requisiti di esclusione fanno riguardano l’anno in corso. Questo è un concetto che spesso confonde tante persone.
I contribuenti che abbiano il regime forfettario devono versare i contributi a seconda del codice ATECO che viene loro attribuito. Sul reddito imponibile viene applicata un’imposta sostitutiva a quella sui redditi e poi ci sono anche le addizionali regionali e comunali e l’Irap al 15%. Un vantaggio è che le partite IVA con regime forfettario non sono assoggettate ritenuta d’acconto e sono esonerate dagli obblighi relativi all’IVA.
Spese forti e spesso sconvenienti
Ma una spesa forte per chi ha la partita IVA in regime forfettario è quella del commercialista, con un costo che oscilla tra i seicento e i €1000 all’anno. Si tratta di una sorta di tassa occulta che chi apre la partita IVA deve tenere bene in considerazione perché molto spesso gli introiti sono così modesti che a conti fatti il tutto risulta sconveniente.
È molto meglio mettersi d’accordo prima con il commercialista su come sarà applicata e come sarà computata la cifra da versargli e se si dovrà versare mensilmente o a fine anno. Ma la verità è che il popolo delle partite IVA protesta da tempo perché è costretto a vivere in un limbo. In tanti casi si tratta semplicemente di dipendenti costretti ad avere tutti gli adempimenti di un professionista e in tanti altri casi si tratta di lavoratori che in realtà guadagnano pochissimo.
Un limbo senza aiuti
Molti esperti sostengono che la partita IVA abbia concettualmente senso per quei veri professionisti che hanno introiti importanti. Ma al di sotto di una certa soglia di introito significa soltanto una giungla di adempimenti e di costi che vanno a pesare su un soggetto fragile che invece dovrebbe essere sostenuto tanto dal punto di vista economico che da quello burocratico.