La sentenza emessa dalla Cassazione – su ricorso di una donna che aveva richiesto l’accertamento della propria invalidità – spiazza tutti.
La notizia arriva con una recente sentenza relativa al ricorso di una donna che aveva richiesto l’accertamento della propria invalidità. Il primo giudice le aveva dato torto, mentre in appello la ricorrente ha vinto. Ma l’Inps ha poi deciso di fare ricorso in Cassazione. Naturalmente nel frattempo sono passati diversi anni. Com’è andata a finire?
Il tema è di strettissima attualità e con ampie ricadute. In una società in progressivo invecchiamento come la nostra, il numero di invalidi è inevitabilmente destinato ad aumentare. Con tutte le conseguenza del caso sulla spesa previdenziale e assistenziale e sulla tenuta dei conti pubblici. Anche in quest’ottica va analizzata la decisione degli Ermellini.
La doccia fredda per i destinatari della pensione di invalidità
Ebbene, secondo la Corte di Cassazione “la pensione d’inabilità nonché l’assegno di invalidità civile non possono essere riconosciuti a favore di soggetti il cui stato di invalidità si sia perfezionato con decorrenza successiva al compimento dei sessantacinque anni”. È stato dunque accolto il ricorso dell’Inps sulla base dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 509/1988, il quale prevede che la pensione di inabilità e la pensione non reversibile di cui all’articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni, sono concesse, rispettivamente, ai mutilati e invalidi civili e ai sordomuti di età compresa fra il 18° e il 65° anno, fermi restando i requisiti e le condizioni previste dalla legislazione vigente.
Per motivare la sua decisione, la Cassazione fa riferimento al “complessivo sistema normativo, che, per gli ultra sessantacinquenni, prevede l’alternativo beneficio della pensione sociale“. In altre parole, la ricorrente avrebbe dovuto perdere la pensione di invalidità al compimento dei 65 anni, come previsto dalla legge e dagli adeguamenti annuali vigenti. Ma il raggiungimento della soglia d’età non comporta la perdita di ogni tipo di trattamento. Il decreto legislativo stabilisce l’accesso a un beneficio alternativo, l’assegno sociale, funzionale anche in misura sostitutiva di altri trattamenti già erogati fino all’età massima consentita.
Il principio di fondo, dunque, è che una volta raggiunta l’età per la pensione si perde il diritto alla pensione di invalidità e di inabilità, avendo accesso all’assegno sociale che sostituisce i due trattamenti precedenti. Dal 2023, per la cronaca, la pensione di invalidità civile e quella di inabilità sono riconosciute da 18 anni a 67 anni: il requisito anagrafico è stato aggiornato in base ai requisiti pensionistici.