A distanza di più di quattro anni dalla tragedia del ponte Morandi di Genova, si fa largo l’ipotesi di “Mani Pulite”
Sui mancati lavori di manutenzione sul ponte che crollò nell’agosto del 2018, si allunga l’ombra di “Mani Pulite“. L’incalzare delle inchieste Mani Pulite potrebbe aver bloccato i lavori di rinforzo del ponte.
Il fatto inspiegabile che negli anni ’90 Autostrade decise di rinforzare una sola pila delle tre strallate di ponte Morandi, e non quella che crollò nel 2018, secondo il nuovo testimone chiave è dovuto a due ragioni: “L’intervento sulla pila 11 era costato moltissimo, e quindi possono aver avuto il loro peso anche ragioni di carattere economico. Né credo sia estranea a questa scelta l’inizio della stagione di “Mani Pulite” e la generalizzata preoccupazione delle imprese di avviare nuovi importanti lavori”– a dirlo pochi giorni fa è stato Emanuele Codacci-Pisanelli, ingegnere allievo di Riccardo Morandi, fra i tecnici impegnati nel rinforzo della pila 11 nel 1991.
E nel suo interrogatorio come persona informata sui fatti ha ricordato pure come l’amministratore delegato di Autostrade dell’epoca, Sergio D’Alò, venne arrestato. Il dirigente fu in effetti colpito da un’ordinanza di custodia cautelare, ma della Procura di Napoli quando ormai non era più dirigente della concessionaria, il 13 giugno 1995, nell’ambito di una indagine sui clan camorristi e appalti per la costruzione di canali, ponti ed autostrade. È vero però che Sergio D’Alò camminava sul filo del rasoio anche politicamente: in un’interrogazione parlamentare del 1993 il deputato del Msi Carlo Tassi chiedeva se l’allontanamento dell’ingegnere Sergio D’Alò dal vertice di una società che opera nel settore autostradale fosse dovuto al fatto a indagini che i magistrati, in quel periodo, svolgendo su tangenti, appalti e affidamenti diretti. In pratica le indagini sulle tangenti Anas avevano portato a galla il fiume di tangenti che, negli anni, si erano consumate per gli appalti e,ancor più, per gli affidamenti diretti che quelle società effettuavano sotto il controllo e le direttive dei partiti allora al potere.
Codacci Pisanelli a fine mese sarà sentito in udienza e potrà essere contro-interrogato dalle difese. L’uomo a verbale ha dichiarato di aver conosciuto Morandi verso la fine del 1981 e di aver lavorato nel suo studio, come professionista privato, sino al 1983 e poi, saltuariamente, sino al 1987, quando ha iniziato a lavorare come “Contest Srl“, società che si occupava e si occupa di controlli strutturali, di cui ora lui stesso è proprietario insieme alla moglie.
Fra la fine del 1990 e l’inizio del 1991 ecco l’incarico da Autostrade, direttamente dall’amministratore delegato D’Alò, dopo aver riscontrato un’anomalia in un controllo ordinario. Alla fine negli stralli della pila 11 era stata evidenziata una grande cavità, nella quale i cavi, sia quelli secondari, sia quelli primari, erano rotti, corrosi, privi di iniezione e avviluppati l’uno con l’altro.
Ma per Codacci Pisanelli sarebbe stato assolutamente indispensabile e doveroso, procedere a controlli analoghi sulle altre due pile gemelle, la 10 e la 9, che è quella che poi è crollata nel 2018. L’ingegnere dava quindi per scontato che una volta avviati i i lavori di rinforzo sulla pila 11, Autostrade procedesse ad analoghi doverosi controlli sulla pila 10 e sulla pila 9. Ma non avvenne nulla di tutto questo: “Il 28 gennaio venni convocato da Camomilla, allora direttore della ricerca e della manutenzione di Autostrade, il quale mi comunicò che il rapporto di Autostrade con Contest finiva lì“.
Questo perché – spiega Codacci Pisanelli – i livelli di gravità della corrosione dei cavi sarebbero stati valutati esclusivamente sulla base dei risultati delle prove riflettometriche le quali, secondo tutta la letteratura del settore, non possono essere considerate affidabili. “Non solo da quel momento cessò ogni rapporto contrattuale tra Autostrade e Contest, ma la stesa Contest non ricevette mai più il benché minimo incarico, né da Autostrade pubblica né, dopo la privatizzazione, da Autostrade per l’Italia“- conclude l’ingegnere. Come andarono le cose tutti lo sappiamo: 43 vite umane morte a causa del crollo del Ponte Morandi. Una tragedia che si poteva e doveva evitare.
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