Non sempre conviene optare per la cedolare secca. Se si ha un reddito basso con uno scaglione Irpef basso diventa quasi sconveniente per chi affitta.
Il mercato immobiliare in Italia sta vivendo un periodo davvero molto particolare. Complice anche l’innalzamento dello costo dei mutui diventa difficile compare un immobile. Ragion per cui la maggior parte degli italiani sta ripiegando sul mercato delle case in affitto.
Non è un caso che il mercato degli affitti abbia subito una impennata di richieste nell’ultimo anno e mezzo. Anche il fitto mensile medio è aumentato decisamente in tutta Italia. In tal senso pesa anche qui il fattore legato all’inflazione. L’aumento generale dei prezzi sta avendo dunque conseguenze anche sui contratti di locazione. Chi concede un immobile in fitto deve chiaramente stipulare un contratto. Vediamo nel dettaglio quale tipologia di contratto conviene applicare tra cedolare secca o Irpef tradizionale per quanto riguarda anche le tasse da pagare sull’immobile.
Cosa è la cedolare secca e quali sono i requisiti previsti
La cedolare secca è un regime fiscale facoltativo che può essere scelto dal locatore di un immobile in sostituzione del regime ordinario previsto per legge. Si tratta di una tassazione semplificata, alternativa all’Irpef e relative addizionali regionali e comunali derivanti dal reddito dell’immobile. Si può optare per la cedolare sia al momento della registrazione del contratto che successivamente. Tuttavia bisogna fare attenzione perché la successiva scelta della tassazione alternativa non dà diritto al rimborso delle imposte già versate.
Può esercitare l’opzione della cedolare secca il contribuente titolare del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento, a condizione che la locazione non avvenga nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni: solo dunque persone fisiche e mai a contratti di locazione per immobili destinati all’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, indipendentemente dal successivo utilizzo dell’immobile. Il calcolo dell’imposta avviene in misura fissa, secondo uno dei seguenti scaglioni di tassazione:
- 10% sui contratti di locazione a canone concordato stipulati per immobili situati nei comuni metropolitani ad alta densità abitativa (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia), nei comuni confinanti con gli stessi e in tutti i comuni capoluogo di provincia;
- 21% se la casa è affittata a mercato libero;
- 10% sui contratti d’affitto a studenti universitari;
- 10% sugli affitti transitori disciplinati dalla legge n. 431/1998.
Quando non conviene la cedolare secca?
Chi opta per il regime fiscale semplificato, rinuncia a ricevere qualunque aggiornamento del canone, incluso l’adeguamento Istat previsto per legge. La cedolare secca, sostituendo anche l’imposta di registro e di bollo, solleva il locatario dalla spesa di questa imposta, riaddebitata in genere da parte del locatore nella misura del 50%. Il proprietario di casa dovrà darne comunicazione all’inquilino mediante raccomandata, ufficializzando in questo modo la rinuncia a eventuali aumenti o adeguamenti del canone di affitto.
La cedolare secca è un’imposta che si calcola in percentuale fissa, in sostituzione dell’Irpef sui redditi immobiliari che invece opera secondo aliquote crescenti per scaglioni di reddito più alti. La parte di reddito derivante dai proventi dell’affitto e sottoposta a cedolare secca viene esclusa dal reddito complessivo per il calcolo dell’aliquota Irpef, quindi non subirà evidentemente alcuna ulteriore tassazione.
Questo conviene nel caso in cui si ha un reddito alto. Viceversa, in caso di reddito basso la cui tassazione rientra già in uno scaglione inferiore la cedolare secca non conviene.