Chi si scalda con il pellet lo sa bene: la grossa difficoltà che sta affrontando per far fronte ai costi spaventosamente impennati di questo combustibile naturale.
C’è chi ha potuto abbandonare l’uso del pellet, puntando sulla legna, se fortunato a possedere una canna fumaria idonea e c’è chi si è tuffato in altri grattacapi, per risolvere il problema del riscaldamento in casa. Quello che è certo è che tra gli annunci del rialzo del costo del gas e quello dell’energia elettrica, quello del pellet quadruplicato ha scosso tantissimi consumatori che si sono subito chiesti il motivo. A quanto pare però si sta per avvicinare un cambiamento di rotta, perché nel 2023 si attende un crollo del prezzo della biomassa.
Tra i motivi che hanno fatto andare alle stelle il prezzo del pellet, c’è la guerra tra Russia e Ucraina. La crisi internazionale ha avuto ripercussioni gravi nella vita degli europei, a partire dall’aumento del costo del gas naturale che da 8,219 €/MWh del 2020 è passato a 231,736 €/MWh ad agosto 2022.
Se la corsa alle alternative è stata naturale, da chi ha cercato di sganciarsi dalle consuete modalità di riscaldamento, gli abituali consumatori di pellet hanno ricevuto una sorta di porta sbattuta in piena faccia, quando tra gli scaffali hanno visto il prezzo di un sacchetto, pari a 15 euro, contro i 4 euro medi degli anni passati.
C’è chi ha preferito lasciarli lì e c’è chi invece ha dovuto sottostare a tale orridezza, scegliendo ancora una volta la biomassa per scaldare la propria casa. Nonostante ciò, secondo ARERA, il biocombustibile risulta essere ancora la scelta preferita dagli italiani e tutto sommato ancora quella più conveniente.
Un altro motivo per cui il costo del pellet si è alzato in maniera così tanto esagerata, oltre alla questione internazionale, risiede nel fatto che l’Italia non è sicuramente tra i maggiori produttori di pellet. Su un totale di 3,35 milioni di tonnellate consumato, da noi sono prodotte soltanto 450 mila tonnellate. La maggior parte del pellet che arriva a bruciare nelle nostre stufe, circa l’85%, arriva dall‘Austria, dalla Croazia, dalla Slovacchia e dalla Repubblica Ceca, paesi che ovviamente non sono in conflitto ma che con l’aumento esponenziale del prezzo del gas naturale e il conseguente aumenti del costo di trasporti, ha fatto lievitare i prezzi finali del pellet.
La tendenza però pare stia subendo un’inversione. Già a partire da dicembre il prezzo del pellet è leggermente sceso grazie all’abbassamento dell’Iva, misura introdotta nella nuova Legge di Bilancio, dal 22% al 10%. Poi è subentrata la paura da parte dei produttori di non riuscire a vendere il prodotto: non sono poche le persone che quest’anno hanno deciso di lasciare sugli scaffali i sacchetti di pellet. I grossisti hanno i deposti pieni e oggi si trovano a dover svendere la merce, perché sono convinti di non riuscire più a recuperare quanto hanno investito. E infine c’è la riduzione del prezzo del gas naturale. Anche il prezzo della legna si è ridotta e questo dettaglio non fa che ben sperare in ulteriore discesa di prezzo.
Per questo motivo nei prossimi due o tre mesi i prezzi tenderanno a calare e se la guerra tra Russia e Ucraina dovesse finire è probabile che le forniture provenienti da questi due Paesi potrebbe immettersi nel mercato riducendo ancora di più i prezzi.
Ma su quest’ ultimo scenario si può contare poco. Sicuramente ci sarà una diminuzione graduale, ma è difficile oggi stabilire se si ritornerà ai prezzi pre-guerra.
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