Un caso che potrebbe fare specie, soprattutto per un argomento importante come quello del reddito di cittadinanza.
Adesso se l’INPS intende togliertelo puoi fare ricorso. La storia di questa donna di Palermo dimostra che il bene del cittadino è ancora più importante dell’attuazione delle regole.
Le regole intorno al reddito di cittadinanza sono sensibilmente cambiate da quanto si è instaurato il Governo retto da Giorgia Meloni. La stretta attorno al sussidio che maggiormente ha caratterizzato il periodo precedente alla vittoria della coalizione dei centrodestra è stata una battaglia politica fondamentale per Giorgia Meloni. Le nuove regole sul reddito di cittadinanza prevedono che questo possa essere tolto molto più facilmente rispetto al passato. Basta pochissimo per farsi togliere il sussidio. Ad esempio se si dice di no alla prima offerta di lavoro che ci viene proposta, oppure se non si è abbastanza attivi nella ricerca di un’impiego.
C’è poi la possibilità che il sussidio venga tolto perché non si è disponibili presso il luogo di residenza indicato quando si è ottenuto il sussidio. Questo è il caso di una donna di Palermo, percettrice della reddito di cittadinanza. Essa si è trovata al centro di una vicenda giudiziaria molto particolare. L’INPS ha deciso per la sospensione e il ritiro del reddito di cittadinanza alla signora in quanto questa era risultata priva di una residenza anagrafica tra febbraio e luglio 2020. Quello della residenza anagrafica chiara e reperibile è uno dei requisiti essenziali per poter percepire il reddito di cittadinanza e nel caso specifico, per una serie di ragioni, la signora ne era sprovvista.
Il ricorso e il riottenimento del sussidio
In questa occasione l’INPS ha applicato le regole alla lettera, togliendo automaticamente il reddito di cittadinanza alla signora per mancanza dei requisiti. Il problema stava nel fatto che la signora in questione aveva era in una situazione molto più complessa di come potesse apparire all’esterno. Il ricorso d’urgenza al tribunale di Palermo e il successivo processo hanno fatto emergere i motivi della mancanza di residenza anagrafica in quel periodo. La signora, infatti, viveva con l’ex compagno e convivente durante il periodo indicato dall’INPS. La sua situazione si è chiarita con la testimonianza dell’ex convivente della donna, il quale ha dichiarato che in quel periodo i due vivevano insieme nell’appartamento indicato dalla donna.
La donna non risultava residente in quel luogo perché il Comune non accettava la sua residenza a causa della posizione di morosità dell’ex convivente dei confronti del canone d’affitto dell’appartamento. Seconda conferma su questo punto arriva anche dal vicino di casa della coppia, che ha confermato che i due hanno vissuto insieme per tutta la durata della pandemia.
La sentenza e il ripristino del reddito di cittadinanza
Alla luce di questi fatti, il giudice ha deciso di riattivare il reddito di cittadinanza per la donna, che in questi mesi di assenza si è ritrovata senza alcuna entrata disponibile. Il ricorso alla procedura dell’appello d’urgenza, hanno confermato gli avvocati della signora, si è rivelato lo strumento giusto perché in assenza del reddito di cittadinanza la loro cliente si è trovata in posizione di morosità per l’affitto e le bollette.
Il giudice ha confermato il punto degli avvocati, confermando come la signora abbia diritto a una vita dignitosa. Questo, se vogliamo trovare una morale a questa storia, sottolinea che la dignità delle persone si erge ancora al di sopra dell’applicazione alla lettera delle regole.