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Crisi dell’energia, la via d’uscita è sempre più difficile. Putin ha nuovi alleati

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Edoardo Corasaniti

Riyad ha concordato con Mosca una diminuzione della produzione che ha causato un aumento del prezzo dei barili.

Dallo scoppio della guerra in Ucraina Riyad è diventata il centro dei pellegrinaggi dei leader mondiali. Tutti sono andati con il cappello in mano alla corte del principe ereditario, Mohammed bin Salman, per chiedergli di vendere più petrolio per aiutarci a far fronte alla crisi scatenata dal conflitto, far abbassare i prezzi e per ridurre la dipendenza dell’Occidente dalla Russia di Vladimir Putin. Il primo a correre da lui è stato l’ex premier britannico Boris Johnson, poi ci è andato il presidente americano Joe Biden, e infine il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il francese Emmanuel Macron lo ha invece invitato a Parigi.

Putin/foto Ansa

In pratica lo hanno incontrato tutti gli uomini più potenti dell’Occidente. Ovviamente sono stati accolti a braccia aperte e non sono mancate le classiche foto di rito dell’evento e delle calorose strette di mano, a segnare la fine di fatto delle condanne legate  all’intervento militare nello Yemen o all’uccisione del giornalista Jamal Ahmad Khashoggi nell’ambasciata saudita di Istanbul quattro anni fa. L’omicidio del reporter critico verso il regime scatenò l’indignazione mondiale e Biden arrivò a definite bin Salman un ‘pariah’. Ma vabbè, con la crisi dell’energia che morde le nostre economie, chi vuoi che se ne freghi dei diritti umani, e la reputazione del Paese è stata ripulita i men che non si dica sul palcoscenico internazionale.

Come cambia lo scacchiere geopolitico

Caro bollette/foto Ansa

E per tutta risposta ora bin Salman ha deciso di schierarsi con Putin, dando uno manrovescio in faccia a Usa ed Europa. L’Arabia Saudita e la Russia, in qualità di leader del cartello energetico Opec Plus, hanno concordato ieri il primo taglio della produzione di petrolio in più di due anni, nel tentativo di aumentare i prezzi, contrastando di fatto gli sforzi degli Stati Uniti e dell’Europa per bloccare le enormi entrate che Mosca ricava dalla vendita del greggio, e che utilizza per finanziare la guerra in Ucraina. Il gruppo ha abbassato l’obiettivo di produzione collettiva di petrolio di 2 milioni di barili al giorno, pari a circa il 2% del consumo globale, anche se la riduzione effettiva dell’offerta potrebbe essere inferiore, probabilmente più vicina a 1 milione di barili, poiché molti membri, come la Nigeria, stanno già producendo al di sotto dei loro obiettivi.

Il gruppo ha inoltre deciso di prorogare di un anno l’accordo che ha creato l’Opec Plus, una combinazione dell’Opec, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio di cui fanno parte in maniera regolare 13 nazioni ma non la Russia, proprio con Mosca e i suoi alleati. La scadenza dell’alleanza, avviata nel 2016, era prevista per il prossimo dicembre, e ora questa mossa rafforza ulteriormente il Cremlino, che avrà maggiore potere sullo scacchiere mondiale e che con l’aumento dei prezzi renderà più costoso per l’Occidente adottare misure contro la Federazione. “Nella misura in cui i prezzi aumenteranno, sarà molto più difficile per l’Europa procedere con le sanzioni sul petrolio russo a dicembre”, ha dichiarato Bhushan Bahree, direttore esecutivo di S&P Global Commodity Insights.

Cosa cambia a dicembre

A dicembre entrerà in vigore il bando totale del greggio russo in Ue, e proprio questa settimana è stato concordato un price cap sul suo acquisto per tutte le aziende europee che lo comprano per rivenderlo in Paesi terzi. Con i prezzi dell’energia alle stelle queste misure potrebbero diventare un peso per l’Unione. I prezzi del petrolio sono saliti di oltre il 5% da venerdì scorso in vista dell’incontro e il Brent, il riferimento internazionale, è salito a 93,95 dollari al barile dopo la notizia del taglio, rispetto agli 84 della scorsa settimana, e si prevede che per Natale potrebbe arrivare a 100.

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