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Pensioni, cosa accadrà davvero dopo le elezioni

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Edoardo Corasaniti

Le elezioni come sempre rimettono nel calderone la vicenda delle pensioni. E ogni coalizione ha le sue idee su uno dei temi più caldi. 

A partire dall’inizio del 2023 non ci saranno più quote ad ammortizzare l’uscita dal mondo del lavoro, verrà applicata la legge Fornero, ancora in essere e lenita da misure eccezionali varate con Quota 100, terminata nel 2021 e con Quota 102 che tramonterà definitivamente alla fine del 2022.

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Tema caldo durante le settimane pre-voto. Misure che possono essere più o meno buone ma che devono rientrare in canoni economici che le rendano attuabili. L’età pensionabile di 67 anni non è oggetto di ulteriori modifiche secondo Forza Italia che però sostiene di potere aumentare l’assegno minimo a 1.000 euro. Un mix tra la legge Fornero e la volontà di rivalutare il lavoro fatto da chi va in pensione. Il costo dell’operazione dovrebbe aggirarsi a 8 miliardi di euro ma si tratta di un calcolo fatto nel 2018. La speranza di vita degli italiani si alza, dice Silvio Berlusconi, e non è sbagliato entrare in pensione più tardi. Non è il “quando”, ma “a quali condizioni” il tema di dibattito.

Il tema delle pensioni scaldano il centrodestra

Le idee di Lega e Fdi sono orientate invece alla pensione per chi ha 41 anni di contributi (39 per le donne), qualcosa di simile al sistema dei 42 anni e 10 mesi di contributi che sarà in vigore dal 2023. Le donne però potranno entrare in pensione un anno prima per ogni figlio. Il costo previsto per lo Stato sarebbe di 14,5 miliardi in tre anni. Giorgia Meloni segue la linea di Matteo Salvini proponendo però che il denaro impiegato dai pensionati per aiutare figli e nipoti venga detassato.

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Il Movimento 5 Stelle che difendeva le Quote ora è più orientato ad appoggiare le soluzioni formulate dal presidente Inps Tridico che aveva già lavorato con Luigi Di Maio sul tema. L’idea più appoggiata è quella della pensione a 63 o a 64 anni con il ricalcolo esclusivamente contributivo, con la penalizzazione per ogni anno di anticipo (ipotizzata al 3% per anno) oppure con l’assegno in due fasi: per i primi anni calcolato con la quota contributiva e, dall’effettiva età pensionabile, con quella retributiva. C’è spazio anche per l’Ape sociale rivolta a un maggiore numero di cittadini esposti a lavori usuranti. Appoggiate anche Opzione donna, la pensione di garanzia per i giovani e il riscatto gratuito degli anni di laurea, idea anche questa del presidente dell’Inps. Il costo non è stato preventivato ma, considerando tutti i pacchetti, dovrebbe essere superiore a quello delle proposte degli altri partiti. Il Partito democratico ha assunto la linea “Più Ape sociale e Opzione donna, con aiuti ai giovani”. Il nodo è quindi quello dei giovani lavoratori in un’ottica di sostenibilità pensionistica futura. Tra questi anche coloro i quali hanno cominciato a lavorare dopo il 1996 e che rientrano interamente nel sistema contributivo. Una generazione di lavoratori che entrerebbe in pensione anche a 70 anni e che potrebbe ricevere importi molto bassi, soprattutto se a fronte di carriere non continuative. Per Renzi e Calenda il sistema previdenziale non necessita di altri investimenti. Sia Azione sia Italia Viva accettano la legge Fornero come è. Per entrambi i partiti Quota 100 è stato un errore, mentre l’Ape sociale dovrebbe essere estesa secondo principi reali, esaminando ogni singolo caso perché non ci sono risorse per tutte le categorie di lavori usuranti. La strategia è futuribile: investire sui giovani oggi perché senza il loro lavoro il sistema pensionistico non può reggere il peso a cui è sottoposto.

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