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Politici con la pensione assicurata, ma a noi ora spetta il ritorno alla Fornero

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Edoardo Corasaniti

Con il voto al 25 settembre i parlamentari si assicurano il vitalizio. E lo fanno per il rotto della cuffia: mentre il popolo ritorna alla legge Fornero.

Si sente ripetere continuamente in questi giorni: è vero che i parlamentari hanno maturato il diritto al vitalizio per una pochi giorni? I numeri non mentono mai.

ANSA, Roma, VALERIO PORTELLI

La normativa vigente prevede che per accedere alla pensione da politico un parlamentare debba essere rimasto in carica almeno quattro anni, sei mesi e un giorno. Tenendo conto che la prima seduta parlamentare dell’attuale legislatura si è svolta il 23 marzo del 2018 (sia alla Camera che al Senato) il diritto alla pensione arriverà quindi il 24 settembre del 2022. Un giorno prima delle elezioni che sono state fissate per il 25 dello stesso mese.

Vitalizio, cosa prevede la norma

Ansa, Roma

La legge stabilisce però che i parlamentari rimangano in carica fino alla prima seduta del Parlamento successivo. A tal proposito l’articolo 61 della Costituzione prevede che le elezioni delle nuove Camere avvengano “entro settanta giorni dalla fine delle precedenti” e che la prima riunione abbia luogo “non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni” e dunque, nel caso specifico, entro il 15 ottobre. In altre parole: i parlamentari avrebbero perso il diritto al vitalizio solo se il Parlamento si fosse riunito per la prima volta prima del 24 settembre (il giorno del “vitalizio day”), ma così non sarà. Si tratta però di una questione di poche settimane. Se ad esempio le elezioni si fossero tenute il 3 settembre i parlamentari avrebbero perso il trattamento pensionistico.

Ma è davvero così? Ci sono alcune precisazioni da fare: dal 2012 l’assegno che spettava ai parlamentari è stato sostituito con un trattamento pensionistico simile a quello previsto per altri lavoratori. Anzi: rispetto a questi ultimi gli eletti di Camera e Senato devono fare i conti con un ostacolo in più: la legge infatti prevede che i contributi versati non possano essere riagganciati a quelli relativi ad altre attività lavorative. In poche parole, se non viene raggiunto il traguardo fatidico dei 4 anni e sei mesi, tutto ciò che è stato versato ai fini contributivi viene di fatto perso. E parliamo, nel caso specifico, di circa 50mila euro.

Tra i banchi del governo torna a sbucare l’opzione Fornero

L’idea del Governo è di uscire da Quota 102 (in vigore dall’1 gennaio 2022), che prevede 38 anni di contributi e 64 anni di età. Dal 31 dicembre 2022, secondo la riforma che è sul tavolo dell’esecutivo, ci sarà un cambio di rotta. La proposta è la flessibilità in uscita sotto i 67 anni per come invece stabilito dalla riforma Fornero. Ad una condizione: che gli assegni siano calcolati per intero dal sistema contributivo. Questa alternativa non sembra aver trovato l’ok dei sindacati, molto più inclini ad accogliere una riforma in cui si preveda di poter uscire sotto i 67 anni. I tentativi di mediazione si giocano sul terreno proprio dell’età, con i sindacati pronti a dare il placet su un innalzamento dell’età pensionabile ma che consenta agli addetti dei lavori usuranti di poter accedere prima all’assegno pensione.

 

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