I videogiochi sono uno spazio di libertà e la Cina ne ha paura.
Dopo aver messo un duro Ban sui Bitcoin la Cina sembra averci preso gusto e ha cominciato ad attaccare anche i videogiochi. Due realtà assolutamente diversissime, certo, ma perché il paese del dragone ce l’ha tanto con i videogames? Apparentemente il motivo è quello di salvaguardare i suoi cittadini, specialmente quelli più giovani dall’alienazione che videogiochi possono portare e questo sarebbe anche condivisibile. Ma alcuni analisti ritengono che la Cina, notoriamente maniaca del controllo e specialmente del controllo dei dati, veda nei videogiochi una doppia minaccia. Innanzitutto la minaccia di aziende di hi tech private che possono crescere troppo senza un dovuto controllo da parte dello stato. E dall’altra parte la possibilità di spazi di libertà e di condivisione troppo liberi e troppo poco monitorabili da Pechino.
Due paure che rivelano fragilità
Ecco perché i videogiochi per il governo cinese vengono percepiti come una doppia minaccia, ma lo sono davvero? Nella logica quasi da Grande Fratello orwelliano che domina il pensiero di Pechino probabilmente si. La gente nei videogiochi si incontra e si scambia idee in modo più libero e meno controllato di quanto non avvenga sui social. E poi le aziende del videogame stanno crescendo in una maniera impressionante. I videogame sono uno dei grandi trend tecnologici del momento. Quindi proprio quella Cina che teoricamente promuove la libertà di espressione dei cittadini e che sempre teoricamente vuole far crescere le sue aziende tecnologiche non è contenta del successo dei videogiochi.
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La cina è una paese forte ed assai appetibile dagli investitori, però ha bisogno di capire che il controllo asfissiante rischia di essere un boomerang.
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Far convivere comunismo e dinamismo economico non è facile, ma per la cina è necessario mettere a fuoco una via.