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Economia

Il noto Jeremy Siegel è assai pessimista sul NASDAQ. Rialzo tassi ed inflazione lo spaventano

Il noto economista e docente universitario è intervenuto sull’attuale situazione della borsa americana.

E’ soprattutto sul Nasdaq che ha concentrato la sua analisi diffusa da Cnbc. Siegel vede nel l’inflazione e nell’aumento dei tassi della Fed, i principali rischi per l’indice tecnologico americano. Il Nasdaq ha perso il 5% dai massimi raggiunti. Ma questo per il professor Siegel non è un problema anzi costituisce una salutare boccata di ossigeno dopo una lunga corsa. Il problema semmai è un altro. L’inflazione è nemica della borsa e soprattutto dei titoli tecnologici. Se l’inflazione dovesse crescere troppo ed il rischio in effetti è forte, gli investitori dovranno spostarsi su beni di rifugio o su azioni che garantiscano dividendi corposi. Il Nasdaq secondo Siegel è dominato da azioni che preferiscono tassi bassi e che privilegiano la crescita sul valore. Queste caratteristiche peculiari dell’indice tecnologico americano che per la verità oggi è molto focalizzato anche sui servizi, lo rendono poco adatto al clima inflazionistico nel quale stiamo entrando.

Un indice più esposto ai tassi

Secondo il professor Siegel questo clima privilegerà maggiormente l’oro ed anzi Siegel bacchetta gli investitori che con troppa baldanza si si stanno rivolgendo ai Bitcoin come bene di rifugio invece di puntare sull’oro. In generale le azioni del NASDAQ linea di principio soffriranno di più di quelle non tecnologiche secondo Siegel relativamente al periodo inflazionistico. Noto docente presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania Siegel non nasconde il suo pessimismo. Il vero tallone d’Achille del Nasdaq sono le azioni long duration, più sensibili ai tassi. Al contrario, nelle analisi dell’economista ad essere premiati dall’inflazioni saranno le aziende che producono beni di largo consumo. 

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Il Nasdaq riesce di solito a sovraperformare l’S&P500 ma allo stesso tempo risulta più volatile quando c’è tensione.

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Tutto come al solito dipende dalle banche centrali.

Salvatore Dimaggio

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