Il Partito Comunista cinese attacca frontalmente la blockchain. Vediamo se ciò mette in pericolo questo investimento.
Che la blockchain non sia amata dalle autorità cinesi non è un mistero. Ma siccome la Cina rappresenta un’economia assolutamente importante e strategica è importante capire se la contrarietà del colosso comunista alla blockchain possa costituire effettivamente un limite al suo sviluppo. Già quest’anno il governo cinese aveva messo un pesante ban sulle criptovalute. Questo aveva cambiato la geografia del mining perché i minatori di criptovalute erano scappati in nord America e nei paesi vicini con un costo dell’energia basso e ciò aveva avuto anche in generale un impatto sulle tecnologie impiegate in varie criptovalute. Ma adesso il Partito Comunista cinese si appresta ad infliggere un altro attacco alla blockchain.
Nemici acerrimi della blockchain
Infatti ha dichiarato senza mezzi termini che i non fungible token sono null’altro che una bolla. Definirli autorevolmente una bolla significa di fatto preparare il campo per restrizioni e ban successivi. Questo perlomeno ciò che temono alcuni. Il governo cinese nei confronti della blockchain sta attuando una politica di tipo difensivo. Evidente che ha paura di turbolenze legate a non fungible token e criptovalute e vuole ad ogni costo evitarle. E’ altrettanto evidente che non desidera puntare su queste tecnologie. Tuttavia le criptovalute e non fungible token hanno bisogno di essere riconosciute e sdoganate per poter crescere di valore.
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Non a caso il riconoscimento da parte del governo di El Salvador è stato salutato come un elemento di maturità e si attende spasmodicamente che la SEC approvi il primo ETF su criptovalute.
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Dunque una tale ostilità delle autorità cinesi non può che costituire un freno allo sviluppo e alla crescita delle quotazioni di questa tecnologia. Ma vista l’impennata furibonda dei prezzi forse questo freno è un bene.