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Perché Cina ed un giornale britannico definiscono i videogiochi una pandemia

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Salvatore Dimaggio

Spesso i videogiochi sono nell’occhio del ciclone. Questo settore che cresce a ritmi vertiginosi creando spesso veri e propri mondi paralleli non manca mai di far discutere.

Quanto più questa industria cresce di importanza, tanto più ci si chiede che effetto abbia sui suoi tantissimi utenti. Pensiamo all’ultimo concerto della popstar Ariana Grande. Si è tenuto all’interno di un videogame e le ha fruttato 20 milioni di dollari. Dunque il mondo videoludico diventa una piattaforma nella quale possono entrare altre forme di intrattenimento ed altre industrie. Il problema è quando parti importanti delle esperienze di vita dell’utente entrano in questo mondo alienandolo dalla realtà. Ma questa è l’eccezione o la regola? L’OMS sempre più spesso viene chiamata in causa per giudicare questo fenomeno e chiarirne gli aspetti positivi e negativi.

Una situazione complessa

Il rapporto tra OMS e videogiochi non è molto lineare. Se da un lato ha diramato un report nel quel afferma che oltre 80 milioni di perone al mondo potrebbero soffrire di una reale forma di dipendenza dai videogiochi in altri report ne ha anche esaltato gli effetti positivi. Come lo si guardi il fenomeno dei videogiochi nato decenni fa come un banale intrattenimento è oggi cresciuto sino a diventare qualcosa di troppo grande e complesso. Importante comprenderlo e decodificarlo. La Cina ha paura gli effetti dei videogiochi sui suoi cittadini ed ha parlato di un giro di vite contro questa industri e specialmente contro i titoli più sospettati di creare dipendenza ed alienazione.

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Da ultimo il britannico Telegraph ha definito i videogiochi come la prossima pandemia.

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Ovviamante l’industria videoludica e gli appassionati protestano contro queste prese di posizione e rilanciano gli studi che sottolineano gli effetti positivi di questo intrattenimento.

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