La nomina di Draghi a Presidente del consiglio è stata un po’ un fulmine a ciel sereno in questa gestione italiana del Covid. Non perchè il nome di Draghi non si facesse, ma anzi perchè questo nome si fa sempre. Si fa da anni e ormai un po’ tutti si era abituati all’idea che sarebbe stato un futuro Presidente della Repubblica e stop.
Questo suo ingresso dirompente sulla scena pubblica italiana come Presidente del consiglio ha sparigliato le carte, ma attenzione: le ha sparigliate in Italia ed in Europa. Se nei meeting europei l’Italia era sempre un paese a metà strada tra quelli che contano e quelli che non contano poi tanto, il peso personale di Draghi ha cambiato tutto, perché in breve lui è diventato il personaggio di maggior rilievo. A prescindere dal paese. Con la sua storia personale questo è inevitabile.
L’estate della vittoria italiana
Guardiamo in prospettiva: con la Merkel prossima alle dimissioni paradossalmente l’Italia si trova ad avere il capo più forte e più spendibile nelle relazioni internazionali. La benedizione all’operato di Draghi ora arriva anche dal Financial Times. Il giornale tante volte si è occupato di lui nella sua storia prestigiosissima. Adesso ne analizza il governo con tutti i suoi successi. Quello vaccinale del generale Figliuolo; la riforma della Giustizia affidata a Marta Cartabia; i successi economici. Soprattutto un progetto di lungo termine che convince.
Forse in fondo ciò che più ha colpito tutti gli osservatori, Financial Times in testa è stato che il governo Draghi non è stato neppure un po’ un governo tecnico. Draghi in tutta la sua storia è sempre stato un leader capace di decisionismo senza precedenti e di imprimere il suo carattere forte a tutte le prestigiose istituzioni nelle quali è entrato.
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E nel governo italiano sta facendo esattamente la stessa cosa: questo è uno dei governi in meno tecnici della storia repubblicana. E’ un esecutivo che prende decisioni a lungo termine perché se ne assume la piena responsabilità.
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Diciamo anche che questo è un esecutivo che sotto l’ombrello dell’unità nazionale (magari esibitamente riottosa) nasconde il vuoto nel quale si è incastrata da tempo la politica italiana.